Una delle professioni della comunicazione che più richiedono un’accurata preparazione multidisciplinare è senza dubbio quella di communication specialist. Ho avuto il piacere di fare una chiacchierata con Vanessa Ramadan, che da anni svolge per l’appunto questo lavoro, e che mi ha spiegato quanto esso sia impegnativo, ma anche quali siano le soddisfazioni che si possono ricevere se lo si fa con passione e competenza.
Vanessa è una persona con cui è davvero interessante parlare. Prima di tutto, per l’acutezza delle sue osservazioni e per la padronanza della materia che dimostra. In secondo luogo, perché ha una storia professionale che – come ci racconterà – l’ha portata a lavorare praticamente in tutti i continenti. La sua ultima tappa – che è anche l’attuale – la vede vivere e lavorare a Brisbane, in Australia. Pertanto, soprattutto se siete studenti o neolaureati che stanno pensando di fare un’esperienza di studio o di lavoro all’estero, leggete con attenzione l’intervista. Di sicuro, Vanessa saprà fornirvi degli spunti su cui riflettere.
Prima di lasciarvi alla lettura dell’intervista, vi segnalo che potete seguire Vanessa sul suo blog, Sapersi Comunicare.
Ciao, Vanessa, e grazie della tua disponibilità. Inizierei chiedendoti di parlarci un po’ di te: qual è la tua formazione? E da dove nasce la tua passione per la comunicazione?
Non ho idea da dove nasca la mia passione per la comunicazione, so solo che è sempre stata lì. Da bambina la mia maestra di pianoforte diceva che da grande avrei fatto la pubblicitaria, non so perché . Ma a diciotto anni, quando ho dovuto scegliere l’università, sapevo già che sarebbe stato qualcosa con la comunicazione.
Per caso mi sono imbattuta nella pubblicità del corso di laurea in Relazioni Pubbliche dello IULM di Milano e ho capito subito che era quello che stavo cercando. Quattro anni dopo avevo la mia laurea in mano.
Sei una communication specialist. Ci puoi spiegare in che cosa consiste questa professione?
In poche parole, un communication specialist è colui che guida il cliente verso il miglior utilizzo possibile dei mezzi e delle forme di comunicazione a disposizione, siano esse online che offline. Ovvero lo indirizza verso quali strumenti scegliere e come utilizzarli in modo che siano efficaci e coerenti con i suoi obiettivi di business.
Tra i lettori di questa intervista ci saranno sicuramente ragazzi che vorrebbero un giorno fare il tuo stesso lavoro. Che cosa puoi consigliargli affinché partano con il piede giusto?
Probabilmente sarò ripetitiva, ma credo che la cosa fondamentale sia studiare tanto, scegliere una buona università ed impegnarsi a fondo per completarla nel migliore dei modi possibili.
Il secondo consiglio è fare un’esperienza all’estero: un master o uno stage di almeno sei mesi in un’agenzia di comunicazione. Io l’ho fatto a Londra, ti assicuro che è stata dura, nel migliore di casi ti rimborsano soltanto il biglietto della metropolitana, devi lavorare nei weekend come commesso o cameriere per pagarti l’affitto e il cibo, non capisci quasi nulla di quello che ti viene richiesto (almeno per i primi 3 mesi), ma alla fine ti posso assicurare che è veramente utile per imparare un metodo di lavoro, oltre che l’inglese.
Infine, essere curiosi e appassionati, sempre. Tenersi aggiornati e usare tutti gli strumenti che la comunicazione mette a disposizione, perché finché non li userai non capirai veramente fino in fondo come funzionano.
Non avere paura di sperimentare nuove vie, sia nella vita che nel lavoro, perché quello che oggi crediamo una certezza, domani probabilmente non lo sarà più.
Hai vissuto e lavorato a San Francisco e a Londra, mentre oggi sei a Brisbane. Avrei mille domande da farti su queste tue esperienze all’estero. Mi limito a fartene un paio. La prima: che differenze hai riscontrato tra l’esercitare la tua professione in Italia e in questi tre Paesi?
La differenza più grande è l’approccio di un’azienda verso i dipendenti: negli Stati Uniti, a Londra e in Australia, appena entri in un’agenzia vieni formato, non importa che tu sia un junior o un senior, in ogni caso partecipi insieme ai tuoi colleghi a una serie di seminari o semplici brainstorming che ti fanno assimilare in poco tempo la filosofia e l’approccio dell’agenzia.
L’obiettivo di un’azienda è quello di formarti per farti fare carriera, sei visto come una risorsa e non come un costo.
Per quanto riguarda la mia personale esperienza in Italia, devo ammettere di essere stata sempre molto fortunata. Durante gli anni trascorsi in agenzia ho avuto la fortuna di collaborare con un professionista che in passato è stato coach aziendale e dirigente. Mi ha insegnato un metodo di lavoro valido per qualsiasi scenario, mi ha dato sempre fiducia e mi ha fatto crescere.
Credo che molte agenzie italiane si trovino ogni giorno ad affrontare diverse problematiche burocratiche ed economiche perdendo di vista il fatto che i propri dipendenti sono la principale fonte a cui attingere per far crescere un’azienda.
Sempre sulle tue esperienze lavorative all’estero: quali sono le qualità che noi Italiani possiamo esportare e che possono renderci vincenti nel lavoro lontano da casa?
In tutta sincerità, tra i migliori professionisti con cui ho avuto l’onore di lavorare ci sono molti Italiani.
Noi Italiani abbiamo una grande preparazione e tanta voglia di fare. E forse, guardando le classifiche dei giovani più talentuosi al mondo, anche un modo di vedere le cose in maniera diversa dagli altri.
L’unica cosa che dovremmo impegnarci a fare meglio è imparare bene l’inglese.
Sei anche una blogger. Che cosa ti ha insegnato la gestione di Sapersi Comunicare, il tuo blog personale?
Devo ammettere che non riesco a dedicare tanto tempo al mio blog, però continuo a lavorarci ogni volta che mi è possibile perché gestire un blog ti obbliga a scrivere costantemente, tenerti aggiornato, interagire e confrontarti con i pensieri e le opinioni di altri che fanno il tuo stesso mestiere o hanno la tua stessa passione.
Infine, avere un blog ti insegna ad approfondire davvero gli argomenti che tratti e ad essere responsabile perché una volta cliccato il tasto “pubblica” la faccia è tua e sola tua. Se c’è scritto qualcosa di impreciso o sbagliato sei tu che devi chiedere scusa e ovviare all’errore.
Siamo all’inizio dell’anno. Spesso, questo periodo coincide con il tentativo di fare previsioni su come andranno le cose nei dodici mesi che seguiranno. Ti chiedo qualche previsione, in base alla tua esperienza di communication specialist e alla tua conoscenza del web: secondo te, ci saranno delle novità nel modo di comunicare online nel 2014?
Non sono molto abile nelle previsioni, ma posso dirti che senz’altro il 2014 sarà un anno di svolta per la presenza di molte aziende sui social media. Nel senso che dovranno decidere se esserci oppure no, ma visto che sono obbligate ad esserci, dovranno finalmente imparare a starci bene. Quindi, credo che inizieremo a vedere meno comunicazioni unidirezionali e meno pagine che cercano di vendere qualcosa a tutti i costi, per lasciare più spazio all’ascolto e al dialogo.
Dovremo ripensare le nostre strategie di content marketing per capire in che modo attirare l’attenzione dei nostri lettori. Ogni giorno vengono pubblicati tantissimi contenuti di alta qualità, dunque non basterà più pubblicare tanto, occorrerà capire quali contenuti sono veramente unici per il nostro pubblico.
Senz’altro verrà posta maggiore attenzione alla produzione di contenuti che possono essere letti da mobile, di conseguenza i post che vedremo saranno probabilmente più brevi e visuali (foto, video, slide, infografiche).
Infine, poiché essere notati su Facebook diventerà sempre più complesso, è probabile che molte aziende e social media manager inizieranno a guardarsi intorno e ad utilizzare ed integrare altri social media.
Nella tua biografia su Sapersi Comunicare citi la parola “innovazione”. Che cosa significa per te fare innovazione nel tuo campo professionale?
Innovare significa ascoltare un’idea e cercare di guardarla in modo nuovo, da un’altra prospettiva, con lo scopo ultimo di migliorare quella iniziale, renderla efficace ai fini dei risultati che si vogliono raggiungere.
Il mio coach mi diceva sempre: “Questa è l’idea, adesso innovala e poi ne riparliamo”. È un percorso lungo e ci vuole tempo per imparare a farlo – anzi, forse non si finisce mai di imparare – ma è essenziale se vuoi renderti veramente utile a un cliente.
Spesso, le aziende si concentrano sulle tattiche e sulle tecniche di comunicazione, dimenticando però che, a monte, è indispensabile avere una chiara strategia. Strategia, tattica, tecnica: ci puoi dire di più su questi termini e su qual è il modo giusto di organizzarsi per essere più efficaci?
L’unico modo per essere efficaci è quello di avere una chiara strategia in mente, ovvero essere in grado di rispondere alla domanda: dove vogliamo andare?
All’interno della strategia si devono attuare diverse tattiche e tecniche, che possono e devono variare nel tempo, soprattutto quando si gestiscono dei social media che subiscono diversi cambiamenti sia per quanto riguarda le loro modalità di utilizzo sia nella composizione del pubblico che raccolgono.
La risposta alla nostra domanda iniziale deve però rimanere tale, altrimenti se non sappiamo noi dove vogliamo andare, come facciamo a spiegare agli altri chi siamo e che cosa vogliamo ottenere?
Si parala tanto di personal branding, da qualche tempo anche qui in Italia. Tu che cosa ne pensi? Davvero è così efficace per trovare lavoro o anche solo per dare un’immagine corretta di se stessi e delle proprie competenze lavorative?
Credo che sia importante lavorare sulla propria immagine e ancor più sulla propria reputazione online perché non possiamo ignorare il fatto che la prima cosa che fa una persona dopo aver letto il nostro curriculum o un nostro articolo o dopo averci incontrato di persona è scrivere su Google il nostro nome. I primi risultati che usciranno concorreranno a formare la prima impressione che quella persona avrà di noi.
Non sono però sicura che sia così efficace per trovare un lavoro. Credo che ci siano molte persone preparate, con un’esperienza lavorativa significativa alle spalle, ma che magari hanno aperto un profilo LinkedIn tanto tempo fa e non l’hanno più aggiornato. Giudicare una persona in questo modo diventa molto difficile.
Siamo in chiusura. Quali sono i tuoi progetti a breve termine? E quelli a lungo?
Nel breve periodo spero di tornare in Italia e iniziare una nuova avventura lavorativa. La mia esperienza da freelance mi è piaciuta molto, mi ha insegnato tante cose e mi ha permesso di lavorare in svariati Paesi del mondo facendomi capire che le distanze oggi davvero non esistono più (tranne quelle mentali, ovviamente).
La verità però è che mi manca il lavoro in team e la gioia di costruire qualcosa insieme ad altri. Nel tempo mi sono resa conto che poter raccontare a qualcun altro un’idea, ad alta voce, è molto più efficace che raccontarla a se stessi. Certo, un freelance è in un certo senso più libero, ma cosa vuol dire essere liberi? Vuol dire andare a vivere in Australia perché tanto ho bisogno solo di un computer? Oppure vuol dire non doversi alzare alle 8:00 della mattina ed essere per forza gentili con tutti? Io non credo che in questo momento in Italia essere liberi significhi poter scegliere i clienti e i progetti che più si adattano alle nostre corde e obiettivi. Dunque, per rispondere alla tua domanda iniziale, nel breve periodo proverò a cercare un lavoro che mi permetta di lavorare in team, magari in un’agenzia, o con altri freelance.
Nel lungo periodo saremo tutti morti, quindi non pensiamoci per ora. 🙂
Grazie per l’intervista e complimenti per il tuo blog!
Ringrazio Vanessa per il tempo che è riuscita a dedicarmi. Spero che i suoi progetti si realizzino presto, così che possa tornare a casa e mettere a frutto qui da noi la grande esperienza che ha maturato. In bocca al lupo, Vanessa!