Come cambiano le modalità di ricerca di lavoro nell’epoca dei social network? Ma soprattutto: come cambiano le modalità di selezione del personale da parte delle aziende? Ecco due domande che interessano parecchie persone e che hanno sempre incuriosito anche me.
Oggi come oggi, la ricerca di un’occupazione lavorativa non passa più soltanto da un buon curriculum vitae, da una lettera di presentazione efficace e da un colloquio di lavoro brillante. Proprio perché i social media sono una componente fondamentale della nostra quotidianità, Facebook & Co. hanno influenzato anche il modo in cui ci proponiamo alle aziende e quello in cui esse ci valutano.
Su questi importanti temi ho intervistato un grande esperto in fatto di selezione del personale, e cioè Paolo Fieni. Gli ho posto le domande che qualsiasi candidato vorrebbe fare a un selezionatore, e Paolo mi ha risposto con grande sincerità.
Se sei in cerca di un’occupazione, non perderti la chiacchierata qui sotto. Contiene infatti consigli che ti aiuteranno a cambiare radicalmente la tua immagine agli occhi dei selezionatori. Non rischiare di venir scartato perché gestisci il tuo profilo Facebook o quello LinkedIn in modo distratto. Ascolta i suggerimenti di Paolo Fieni e massimizza le tue possibilità di fare buona impressione a tutti i direttori del personale!
Ciao Paolo, e grazie della tua disponibilità. Partirei da qui: ti va di raccontarci qualcosa di te e della tua attività?
Ciao Alessandro! Grazie dell’ospitalità. Fin da dopo la laurea in Sociologia mi sono sempre occupato di personale. Dapprima come consulente specializzato nella ricerca e selezione di middle-management, e successivamente come responsabile aziendale della funzione HR.
Dal 2011, tuttavia, ho deciso di dedicarmi nuovamente alla consulenza, questa volta destinata ai candidati. Ho condotto corsi di formazione su tematiche legate a carriera, comunicazione e nuovi media, e ho fondato Trovareunlavoro.it, agenzia dedicata a servizi quali CV writing e career coaching.
Le statistiche indicano che, in USA, praticamente tutti i recruiter vanno a rintracciare i candidati sui social network. Hai delle statistiche aggiornate sulla realtà italiana? Per meglio dire: anche da noi c’è la stessa tendenza?
Il fenomeno è monitorato in modo attendibile da anni. A livello mondiale, l’utilizzo dei canali social nelle attività di recruiting è una realtà, ma varia da settore a settore. Al primo posto, ovviamente, ci sono le società che si occupano di selezione: in questo caso lo strumento viene utilizzato nel 92% dei casi. Diverso per le aziende. Senza badare al fatto che l’uso dei social è tanto più diffuso quanto maggiore è la dimensione dell’azienda, si passa dal 77% del settore telecomunicazioni al 37,5% delle banche. Attenzione però: l’uso dei social interessa attività come, ad esempio, pubblicizzare annunci di lavoro e fare employer branding. In realtà, solo nel 60% dei casi si cercano candidati passivi e nel 45% dei casi si verificano i contenuti pubblicati da un candidato.
In Italia la situazione è leggermente diversa. Le società di recruiting fanno uso dei social nel 70% dei casi, e il picco più basso in relazione a un settore produttivo è segnato dall’industria e dai servizi industriali, che ne fanno uso solo nel 15% dei casi. Sostanzialmente invariate, invece, le finalità (ricerca candidati, controllare l’accuratezza del CV, controllare i contenuti pubblicati).
Molti candidati interpretano l’atteggiamento dei selezionatori – intendo la loro attività di “verifica” sui social network – come un’invasione della propria privacy. D’altro canto, le “tracce” che tutti noi lasciamo sul web sono spesso “pubbliche”, cioè visibili a chiunque liberamente. Ci aiuti a fare un po’ di chiarezza su questo tema delicato? Esiste una linea di separazione netta tra legittima verifica dei dati contenuti in un curriculum vitae e l’intrusione? Oppure c’è piuttosto una zona grigia?
A mio avviso nessuno invade niente. La questione ci impone di distinguere tra i contenuti che noi liberamente condividiamo all’interno di una cerchia più o meno stretta di pubblico e quello che gli altri eventualmente comunicano di noi. Riguardo a quest’ultima opzione, dobbiamo assicurarci di quali siano le informazioni su di noi che la Rete restituisce, e se qualcosa non ci piace dobbiamo far sì che venga corretto o rimosso (a tal proposito esiste un apposito servizio di Google volto a tutelare il diritto all’oblio).
Per quanto riguarda le informazioni che noi stessi rendiamo pubbliche a vari livelli, dobbiamo essere consapevoli che queste, attraverso vie talvolta inimmaginabili, possono raggiungere persone che vorremmo escludere. Da ciò deriva l’opportunità di tutelare la propria immagine professionale anche nella sfera privata (sebbene social).
Esiste poi una brutta pratica (mai vista fortunatamente coi miei occhi) per cui alcuni selezionatori richiedono al candidato le password di accesso ai profili social. Ovviamente qui non siamo nella sfera grigia, ma nell’illegalità vera e propria!
Quali sono le cose che pubblichiamo online che possono danneggiarci in fase di selezione? In altre parole: se stiamo cercando lavoro, quali cose dovremmo evitare di pubblicare sui nostri profili social perché allarmerebbero un selezionatore del personale?Per semplicità, possiamo individuare quattro categorie di “cose” sensibili: fotografie informali (es. travestimenti), fotografie inerenti attività controverse (es. mentre si beve durante un party), commenti personali su argomenti controversi (es. droghe), commenti o partecipazione in attività in violazione delle policy aziendali.
Questa classificazione rispetta l’ordine di importanza attribuita dai selezionatori a tali cose. Ne deriva pertanto che i commenti hanno più peso delle fotografie nella determinazione della valutazione del candidato. Anzi, le fotografie sembrano non giocare un ruolo importante nella creazione del giudizio, sebbene al crescere dell’età del selezionatore si riscontri una maggiore sensibilità a questi contenuti.
Giocano invece un ruolo fondamentale i commenti e le attività del candidato su questioni controverse o che violano i regolamenti aziendali. In definitiva, sembra esserci consapevolezza del fatto che le fotografie non parlano tanto chiaramente di noi quanto i nostri pensieri o le nostre azioni sul luogo di lavoro.
Ti faccio una domanda che riguarda direttamente la mia digital reputation, così facciamo un esempio pratico. Sul mio profilo Facebook pubblico tutto “in chiaro”: chiunque può vedere ciò che condivido. Perfino i post con le parolacce e i video di musica gothic e metal. D’altro canto ho un blog molto seguito nella nicchia in cui opero e ho scritto un e-book bestseller su Amazon. Insomma: da un lato faccio rizzare i capelli in testa ai recruiter, dall’altro mi qualifico come un professionista nel mio settore. Come sto gestendo secondo te la mia digital reputation?
Di base mi verrebbe da considerare irragionevole la scelta di pubblicare tutto in chiaro. Se questa scelta è dettata dalla pigrizia, beh, devi assolutamente darti una mossa. Se invece sei semplicemente un “dannato” o la tua passione è travolgente al punto da non poter essere dominata nemmeno sul luogo di lavoro, non è detto che questa scelta giochi a tuo sfavore, dal momento che contribuisce a comunicare chi sei, oltre che alimentare il personaggio “pubblico”.
Insomma, l’atteggiamento più conveniente da adottare è quello in cui assumiamo – o proviamo ad assumere – il punto di vista del selezionare. Che cosa non ci piacerebbe vedere di un candidato? Che cosa non ci piace di ciò che mostriamo, se noi fossimo il selezionatore? Non esiste una regola. I parametri cambiano in funzione della persona che osserva e delle caratteristiche del candidato ideale. Tuttavia, il primo passo verso una buona gestione della propria online reputation si realizza attraverso questa prima valutazione.
Immagino che i recruiter vadano per prima cosa a verificare il nostro profilo Facebook. Qualche tuo consiglio?
In realtà, Facebook è ritenuto dagli addetti alla selezione il secondo strumento utile alla valutazione dell’online reputation di un candidato. Rifacendoci alle ricerche citate in precedenza, viene utilizzato nel 52% dei casi, contro il 68% di LinkedIn. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che omonimia, utilizzo di nickname e barriere alla lettura dei contenuti derivanti dalle impostazioni di profilo in materia di privacy possono rendere difficile, impossibile o inutile rintracciare un certo candidato.
Detto ciò, la raccomandazione principale in merito a Facebook è proprio quella di conoscere e adeguare ai propri desideri le impostazioni di visibilità di post e contenuti ai quali veniamo “taggati”. Facebook è il social per eccellenza in cui esprimiamo idee personali e immagini della nostra vita privata. Facciamo quindi in modo che non siano alla mercé di chiunque, al di fuori della nostra rete, cerchi il nostro nome. Ma valutiamo anche di mantenere un atteggiamento “misurato”, se vogliamo preservare la nostra immagine ai fini professionali: dopo tutto qualche informazione potrebbe sfuggire al nostro controllo, facendo sfumare opportunità interessanti.
Quali sono gli altri social network su cui i selezionatori del personale possono cercarci? Anche qui: quali consigli specifici ci puoi dare?
Dopo Facebook, seguono a grande distanza Twitter e YouTube. Ma il padrone incontrastato è, come ti dicevo, LinkedIn. Oltre a un LinkedIn profile adeguatamente compilato, è opportuno costruire una rete di contatti con head hunter, selezionatori, colleghi e altre figure chiave dal punto di vista professionale.
Partecipare ai gruppi o pubblicare contenuti originali e pertinenti al proprio lavoro può dare grande visibilità e accrescere la percezione del proprio valore. Per i ricercatori, inoltre, segnalo Research Gate, un fenomeno ormai planetario made in Germany.
Esistono poi altri social network, ma l’interesse dei selezionatori verso di essi è praticamente nullo (salvo particolari nicchie).
Non dobbiamo però dimenticare che ciò che pubblichiamo può essere rintracciato facilmente con Google. Qualunque sia il social che utilizziamo. A questo proposito, ricordo la vicenda di un mio cliente: per una prima valutazione della sua reputazione online lanciai una banale ricerca in Google. Il risultato fu sorprendente: avevo rintracciato con facilità numerosissimi tweet in cui parlava male di azienda e colleghi. Quanto materiale davvero interessante per un selezionatore…
Anche i nostri blog personali – oramai moltissimi di noi ne hanno uno – sono sotto gli occhi di tutti. Quali sono i tuoi suggerimenti in questo caso?
Verissimo. Il blog è un’arma molto potente nelle mani dei candidati. Attraverso di esso si può sperare di apparire tra i primi risultati di Google – se ricercati per nome e cognome – si possono organizzare in modo chiaro i contenuti da presentare ad un eventuale selezionatore, e raggruppare in un solo luogo allegati di ogni sorta (portfoli, pubblicazioni, attestati, riconoscimenti ecc.) e dimostrare di essere attivi, aggiornati o addirittura “influencer” su argomenti chiave in ambito professionale. Insomma, è un ottimo strumento per mettere in evidenza gli asset su cui il candidato fa affidamento per conquistare l’interesse del selezionatore. Può diventare a tutti gli effetti un iper curriculum. Occhio però a non veicolare messaggi sbagliati o svilenti, e a non creare blog obsoleti, banali o fuori target.
Può succedere che i selezionatori si facciano influenzare dai propri pregiudizi nel valutare ciò che pubblichiamo sui social media? Mi spiego meglio. Il selezionatore non è uno strumento di misura perfetto, ma una persona che ha valori, opinioni e gusti personali. Per quella che è la tua esperienza, il rischio di esser valutati poco obiettivamente esiste?
Come hai di fatto già anticipato, ogni selezionatore non è una macchina. Ogni suo giudizio viene formulato in modo del tutto soggettivo. Vero è che il suo lavoro richiede una continua tensione a migliorare le tecniche di indagine e valutazione. Più un selezionatore è bravo, meno facilmente commette errori “banali”: il suo giudizio sarà guidato dal rispetto di esigenze e valori dell’azienda cliente, dall’analisi di caratteristiche e competenze dai candidati, e da quella capacità difficile da spiegare che si chiama intuito, e che non smette mai di potenziarsi se esercitato. Tuttavia, la comunicazione lascia spazio per il fraintendimento, soprattutto quando è mediata da, ehm, un social media. Ciò che mi preme sottolineare, a tal proposito, è che spetta anche e soprattutto al candidato l’onere di essere correttamente valutato.
Ammettiamo che io sia un giovane neolaureato che sta cercando lavoro. Potresti darmi tre-quattro dritte per curare come si deve la mia digital reputation.
A) Cura le impostazioni di privacy dei vari profili social. E fai attenzione a quelli che invece non ne hanno, come Twitter. Non dimenticare mai che ciò che pubblichi su di te, o che gli altri pubblicano su di te, può realmente condizionare il tuo futuro professionale.
B) Vivi Internet come un luogo in cui discutere, coltivare ed esibire gli argomenti che ti appassionano e che vorresti portare nel tuo lavoro futuro. Un candidato appassionato è quasi sempre uno dei candidati migliori.
C) Googla il tuo nome periodicamente e monitora cosa internet racconta di te.
D) Ricordati che i recruiter sono alla ricerca, in ordine di importanza, di:
– informazioni professionali o similari;
– premi, riconoscimenti o menzioni;
– caratteristiche di personalità;
– contenuti postati direttamente dai candidati;
– commenti e contenuti postati dagli altri e relativi ai candidati.
Fotografie e hobby valgono poco o niente rispetto a quanto descritto sopra.
Siamo in chiusura. So che spesso sei invitato a parlare in pubblico di questi temi. Quali sono i tuoi prossimi corsi o seminari?
Grazie di questa opportunità. È sempre un piacere lavorare con te. Oltre alle consulenze di Trovareunlavoro.it, in questo momento sto progettando il seguito di un corso condotto alcuni mesi fa presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, riguardante digital reputation, online networking e social recruiting. Ma tra i progetti più impegnativi c’è la realizzazione, assieme ad altri due imprenditori, di una piattaforma destinata a rinnovare il modo in cui domanda e offerta di lavoro si valutano, si conoscono e si incontrano. Mi spiace non poter dire di più. Ma ad ottobre 2015, se la road map verrà rispettata, ci sarà il lancio e potrò tornare ad assecondare la mia natura logorroica!
Ringrazio Paolo Fieni per tutti i preziosi suggerimenti che ci ha regalato. Non capita spesso di trovare un esperto di HR in vena di condividere le proprie conoscenze professionali e modalità operative. E a tutti voi che state cercando lavoro o che desiderate cambiare quello che già avete, in bocca al lupo!