Il ripasso grammaticale di oggi è dedicato al modo indicativo. Questo post segue quelli che ho scritto in passato sui modi congiuntivo, condizionale, imperativo, infinito e gerundio.
Sul modo indicativo c’è parecchio da dire. Questo perché si tratta del modo che ha più tempi verbali tra tutti e perché è quello che più spesso usiamo, soprattutto nella lingua parlata. Ho allora deciso di dividere gli argomenti di questo post in tre parti. La prima, che è quella che stai leggendo, introdurrà il modo indicativo e l’indicativo presente. La seconda, che pubblicherò il 20 giugno, parlerà dell’indicativo imperfetto, di quello passato remoto e di quello passato prossimo. La terza e ultima parte, che metterò online il 24 giugno, tratterà l’indicativo trapassato prossimo, l’indicativo passato remoto, l’indicativo futuro semplice e l’indicativo futuro anteriore.
Il modo indicativo
L’indicativo è il modo della certezza, dell’obiettività, della realtà. Perciò, è usato sia nelle proposizioni principali che nelle proposizioni dipendenti per indicare un fatto vero, sicuro, certo. O comunque per indicare ciò che è ritenuto tale da chi parla o scrive.
Un paio di veloci esempi sull’uso dell’indicativo nella lingua italiana. Se dico “Oggi è una bella giornata di sole”, è senz’altro così. Se poi dico “So che Mario è stato bocciato perché non ha studiato abbastanza la grammatica italiana”, sono certo di quello che affermo.
Come mai il modo indicativo si chiama così? Il termine indicativo deriva dal latino indicare. Ciò significa che questo modo verbale serve a indicare qualcosa, cioè a esprimere in modo chiaro e incontrovertibile un particolare fatto o una particolare idea.
L’indicativo è un modo che ha ben otto tempi verbali. Quattro di essi sono semplici – il presente, l’imperfetto, il passato remoto e il futuro – e quattro composti – il passato prossimo, il trapassato prossimo, il trapassato remoto e il futuro anteriore. Così, vuoi per la sua natura di modo che esprime l’obiettività e vuoi per i suoi numerosi tempi verbali, il modo indicativo è l’unico modo capace di illustrare i tre momenti in cui può realizzarsi un fatto o essere enunciata un’affermazione: l’anteriorità (con l’imperfetto, il passato remoto, il passato prossimo, il trapassato prossimo e il trapassato remoto), la contemporaneità (con il presente) e la posterità (con il futuro e il futuro anteriore).
Il modo indicativo: alcune osservazioni sul suo uso
Da parecchio tempo a questa parte, nella lingua parlata e nei testi che non hanno un registro elevato, l’indicativo tende sempre più a sostituire altri modi verbali. Per esempio, il modo indicativo tende a rubare il posto a questi modi:
- Il congiuntivo. Succede soprattutto nelle proposizioni dipendenti che indicano un dubbio, un’incertezza, un timore. Alcuni esempi: “Mi sembra che Mario non ha studiato bene la grammatica italiana”, “Temo che la mia amica è già partita”.
- Il congiuntivo e il condizionale nel periodo ipotetico. Per esempio: “Era preferibile se studiavi un po’ di più la grammatica”, “Se andavi a scuola in bici sprecavi meno tempo che andandoci a piedi”.
In tutta sincerità, questi due usi del modo indicativo al posto del congiuntivo e del condizionale mi fanno accapponare la pelle! 🙂 Sono uno dei tanti segnali della diffusione di una povertà linguistica ed espressiva che, oramai, non salva nemmeno chi ha una laurea. Non rinunciamo alla ricchezza di sfumature del modo indicativo e, più in generale, della nostra lingua! Sforziamoci di usare la grammatica italiana in modo corretto!
Il modo indicativo e i suoi tempi: il presente
Il tempo presente del modo indicativo indica che l’azione, lo stato o il modo d’essere sono contemporanei al momento in cui essi vengono espressi. Il tempo presente viene però usato anche per esprimere fatti che sono indipendenti dalla contemporaneità. Ecco allora che, in questi casi, l’indicativo presente può essere usato per indicare:
- Un fatto consueto, cioè un avvenimento che si ripete a cadenza regolare: “Gli esami di maturità si tengono a giugno e a luglio di ogni anno”.
- Un fatto che è sempre universalmente vero, come per esempio:
- Nelle leggi e nelle definizioni scientifiche: “Il delfino è un mammifero”.
- Nelle descrizioni geografiche: “L’Everest è la cima più alta del pianeta”.
- Nelle verità accettate da tutti: “La bellezza conta meno dell’intelligenza”.
- Nei proverbi che vogliono esprimere verità sempre valide: “Chi trova un amico trova un tesoro”.
- Nelle citazioni letterarie: “Ivo Andić ha scritto della Bosnia come mai nessuno prima”.
- Un fatto accaduto nel passato e che è narrato col cosiddetto presente storico per dargli attualità. Per esempio: “Cesare passa il Rubicone e da lì la storia di Roma antica prende una nuova piega”. Il presente storico è spesso usato anche nella lingua parlata: “Vado al parco e chi incontro? Mario, sdraiato sull’erba, intento a leggere il libro di grammatica italiana”.
- Un fatto che si avvererà certamente nel futuro. Un paio di esempi: “La mia famiglia e io partiamo per le vacanze dopodomani”, “Esco un attimo per una commissione, ma torno a breve: devo infatti studiare grammatica”. Questo uso dell’indicativo presente è tipico dell’italiano parlato, ma andrebbe evitato se ci si vuole esprimere rispettando le regole della grammatica italiana.
Ecco, questo è quanto si può dire sul modo indicativo, sul suo tempo presente e sulle regole d’uso di entrambi nella grammatica della lingua italiana. Come detto, il 20 giugno faremo un ripasso di altri tre tempi verbali del modo indicativo: l’imperfetto, il passato remoto e il passato prossimo.
Nel frattempo, ti chiedo: conoscevi già tutte queste regole sull’uso dell’indicativo e del suo tempo presente? Sei una di quelle persone che tendono a usare l’indicativo al posto del congiuntivo nella lingua parlata? Quanto è giusto, secondo te, ignorare le regole grammaticali a favore di un linguaggio più colloquiale? Lascia un commento e condividi con noi le tue osservazioni sul modo indicativo e sul suo tempo presente!
Buona sera, avrei bisogno di alcune delucidazioni circa l’espressione “il fatto che…”. Il quesito è il seguente: dopo l’espressione sopracitata è necessario ricorrere al congiuntivo o all’indicativo? Ultimamente c’è questa questione che mi attanaglia; non ho trovato grammatica che tratti l’argomento, nemmeno il sito dell’Accademia della Crusca. Vengono sempre elencati tutti i casi in cui il congiuntivo deve obbligatoriamente essere usato, ma sembra quasi che la questione non sia mai stata di interesse per nessuno.
Come esempio propongo questo, che è tratto da un commento ad un epistolario di cui mi sto occupando per la mia tesi di laurea:
“Il fatto che ci sia stato/c’è stato uno scambio di saluti per la moglie rende indubbio il fatto che si siano/si sono incontrati.”
Come contesto tengo a precisare che nei fatti questo scambio di saluti è avvenuto (quindi è una cosa effettiva e reale) così come l’incontro fra le due figure che hanno intrattenuto la corrispondenza epistolare.
Riuscireste cortesemente a dipanare la questione?
Vi ringrazio
Buongiorno Damiano e grazie del quesito.
Io mi regolo sempre così: quando c’è certezza sul fatto, uso l’indicativo, sennò il congiuntivo.
Purtroppo, ci sono molte persone con studi superiori che mettono il congiuntivo un po’ ovunque, anche quando non servirebbe. Forse hanno dimenticato la regola grammaticale che ho riportato sopra o forse hanno il terrore di fare un errore. Non so.
Fatto sta che le consiglio, soprattutto in un documento così importante come il suo, di usare il congiuntivo in quel caso. Non vale infatti la pena di ritrovarsi a litigare con un professore (il fatto di avere ragione è secondario) sull’uso del congiuntivo in sede di discussione della tesi. 🙂