L’accento, questo sconosciuto. Quali sono le sue regole d’uso? E quali le eccezioni?
Sull’accento ci sono molte cose da dire. Partiamo da questa osservazione: quando parliamo, anche se non ce ne rendiamo conto, mettiamo l’accento su ogni parola che diciamo. Ed è giusto che sia così, poiché tutte le parole hanno un accento. Quando invece scriviamo, raramente è obbligatorio indicare l’accento, dato che le parole accentate sono una minoranza rispetto a quelle non accentate.
Vediamo ora nel dettaglio quali sono le regole d’uso dell’accento nella lingua italiana. Conoscere queste norme è importante non solo per i professionisti della scrittura, ma per tutti. Perché saper usare l’accento rende più corretta – e quindi più efficace – la comunicazione scritta di chiunque. Senza contare che, mettendo l’accento dove serve, si dà sempre l’impressione di essere persone precise e professionali!
Accento: regole d’uso in italiano
Le regole d’uso dell’accento nella lingua italiana scritta non sono molte.
Inziamo col dire che l’accento può essere grave (`) o acuto (′). Quando le vocali a, i, o, u costituiscono l’ultima lettera di una parola accentata, su di esse l’accento è sempre grave: à, ì, ò, ù.
Sulla vocale o, quando compare all’interno di una parola, e sulla vocale e, interna o finale, l’accento è grave o acuto a seconda della pronuncia aperta o chiusa della vocale. Quando la e è alla fine di una parola, l’accento è acuto sulla congiunzione causale ché, sui composti di che (perché, affinché, cosicché, giacché, poiché ecc.), sui composti di tre (ventitré, trentatré ecc.) e di re (viceré). Per il resto, l’accento è in genere grave.
L’accento va messo su tutte le parole polisillabiche tronche (città, virtù, longevità ecc.) e sui seguenti monosillabi: dà (verbo), dì (giorno) e relativi composti (lunedì, mezzodì ecc.), là e lì (avverbi di luogo), sì (avverbio affermativo), tè (bevanda), è (verbo), né, sé, ciò, già, giù, più, può, scià, piè (piede), diè (verbo dare), fé (fede e verbo fare).
L’accento va messo anche sulle parole polisillabiche formate da monosillabi che usati da soli non lo hanno: aldiquà, viceré, autogrù, nontiscordardimé ecc.
Hanno l’accento anche la prima e terza persona dell’indicativo futuro semplice e le terze persone singolari dell’indicativo passato remoto di alcuni verbi, come battere, potere, ripetere (batté, poté, ripeté).
All’interno delle parole, non è obbligatorio scrivere l’accento. Capita però che sia utile usarlo per distinguere fra loro parole omografe e omofone (per esempio, àncora e ancóra o condòmini e condomìni). In tal caso, la scelta se usare o meno l’accento è lasciata a chi scrive: dovrà valutare caso per caso, a seconda del grado di ambiguità del contesto.
È comunque bene scrivere l’accento nei casi riportati qui sotto:
1) L’accento è preferibile quando si scrivere il plurale delle parole che terminano in -io. L’accento andrà sulla penultima sillaba: adultèri (plurale di adulterio), benefìci (plurale di beneficio), demòni (plurale di demonio), desidèri (plurale di desiderio), princìpi (plurale di principio) ecc. Le parole con cui potrebbero essere equivocate andranno invece senza accento: principi (plurale di principe), adulteri (plurale di adultero), demoni (plurale di demone) ecc.
2) L’accento è preferibile nei plurali dei nomi delle parole che terminano in -òrio, quando c’è la possibilità di confusione con il corrispondente plurale delle parole che terminano in -ore. Esempi: contraddittòri, uditòri ecc.
3) L’accento è preferibile nelle forme verbali dài e dànno, in dèi (divinità, ma se si mette l’iniziale maiscola va scritto Dei), in èra (periodo temporale), sètte (plurale di setta), subìto, vòlta (nel senso di arco).
4) L’accento è preferibile in caso di parole non comuni. Per esempio: ecchìmosi, dàrsena, leccornìa, libìdo.
5) L’accento è preferibile in caso di parole la cui pronuncia è spesso sbagliata nella lingua parlata: edìle, rubrica, utensìle.
L’accento circonflesso non si usa più: è antiquato. In questo senso, il plurale dei sostantivi con desinenza in -io si scrive con una -i semplice. Da evitare dunque le forme antiquate -ii, -î o -j.
Attenzione! Si scrivono senza accento: do, fu, fa, me, mi, no, qui, qua, re, sa, so, sto, su, tre, sta.
Altra osservazione: l’accento non va mai indicato con l’apostrofo, neanche sulle lettere maiuscole. Perciò si scriverà È e non E’. Ribadiamo: l’accento non si indica mai con l’apostrofo!
Accento: la sua storia
Come l’apostrofo e molti segni della punteggiatura, anche l’accento fu introdotto in tipografia basandosi sull’uso che se ne faceva nel greco antico.
L’accento fa la sua prima comparsa nella nostra lingua a fine Quattrocento. Negli scritti del Cinquecento e del Seicento è via via sempre più presente. Ma non si arriva mai a definire per l’accento delle norme d’uso chiare e condivise. L’unico dato sicuro è che, proprio perché il suo uso è copiato dal greco, prevale l’accento grave alla fine delle parole e l’accento acuto al loro interno.
Nella seconda metà dell’Ottocento e nel Novecento, si cercano di codificare delle regole per l’accento valide per chiunque scriva. Per esempio, alcuni studiosi propongono, senza successo, di accentare tutte le parole sdrucciole. Altri decidono di usare due diversi tipi di accento, l’acuto e il grave, per segnalare la pronuncia aperta o chiusa delle vocali e e o. Da qui, parte l’idea di estendere l’uso dell’accento anche alle altre vocali accentate.
Insomma: tutto ciò ci mostra che, quando si ha a che fare con l’accento, è meglio non fidarsi della propria pronuncia! In caso di dubbio, molto meglio consultare un dizionario per non sbagliare accento!
Ecco, queste erano le regole d’uso dell’accento nella lingua italiana. Le conoscevi tutte? Le trovi complicate? Hai spesso problemi nell’uso dell’accento? Lascia un commento con la tua opinione!
Buongiorno, nonostante sia sempre andato bene in italiano e in particolare sugli accenti, essendo un ex ed ancora oggi studente di lingua francese, ogni tanto qualche dubbio sull’accento mi assale…consultando il Garzanti, setta è scritto (come lo indica lei negli esempi) senza accento, poi ne viene indicata la pronuncia accentata tra parentesi; in altri dizionari (anzi, praticamente tutti) viene scritto accentato…allora com’è? Vanno bene entrambi i casi?
(Si, sono sempre io) dimenticavo…da due o tre ho preso l’abitudine, nella scrittura manuale, di rispettare gli accenti gravi ed acuti, dritti in diagonale, come se scrivessi con il pc, come si legge nel dizionario, non quelli grafici (e come si fanno SEMPRE in francese ad esempio); ciò va bene, a mano, oppure bisogna fare l’accento sempre diagonalmente a dx. e curvo, come ci insegnavano a scuola?
…anni…
Grazie per la sua attenzione.
Ciao Michele,
Per quanto riguarda il tuo dubbio, io mi fido del Manuale di redazione della Edigeo. Tieni presente però che non esistono regole certe sull’accento, ma consuetudini accettate dai più.
Per quanto riguarda la scrittura a mano degli accenti, anch’io faccio proprio come te: scrivo come se fossi francese! 🙂 La qual cosa mi sembra corretta ed elegante contemporaneamente.
Ciao!
ciao, a me serve vosttro juto per l’accento tuti tip, no riescco
A me hanno sempre insegnato che tutte le parole in lingua italiana sono piane (accento sulla penultima sillaba) se non lo sono si mette l’accento grave o acuto all’uopo
Un suggerimento, la migliore tastiera italiana è quella con layout spagnolo!
Permette di comporre le lettere accentate battendo prima l’accento e dopo la lettera, così non ci sono più problemi per le parole accentate in maiuscolo o quell’odioso Alt+0200 quando la frase inizia con È.
Questa tastiera è così ganza che si possono pure scrivere le ǹ e le ỳ con l’accento!
Ma se non riuscite a trovarne una in Italia, un programma molto utile per Windows è Microsof Keyboard Layout Creator, nato con XP, funziona anche con l’ultimo Windows e permette di modificare a proprio piacimento il layout della tastiera, ed è molto semplice.
Se si usa Linux (come me) è un po’ più una rogna modificare il layout, ma fattibile.
Per quanto riguarda Mac, non ne ho idea, mi spiace
Interessante e con spiegazioni semplici e facilmente memorizzabili.
Un piccolo dubbio però mi sorge leggendo una nota di risposta dell’autore dell’articolo: l’accento, a parte i casi in cui è indispensabile, ad esempio l’é del verbo essere che distingue la vocale dalla identica congiunzione, è una regola della nostra grammatica o “non esistono regole certe sull’accento, ma consuetudini accettate dai più” come afferma nella suddetta nota Scuratti stesso.
Grazie e complimenti.
Luigi
Sul dizionario lo trovi scritto “sètta”, perché il dizionario marca l’accento di ogni parola, e quando l’accento cade sulla E o sulla O, ti dice se è aperta o chiusa. In altre parole, il dizionario con “sètta” ti dice che l’accento va sulla E, e che si tratta di e aperta, ma la parola setta di per se non richiede nessun accento.