“Sono venuto per dividere, non per unire”: il marketing fa come Gesù

marketingMi è venuta in mente un’analogia curiosa. Non so da dove è arrivata. Sta di fatto che mi ha spinto a scriverci un post, questo. Anche perché, a causa degli impegni lavorativi, ho sempre meno tempo per pubblicare qui. E allora prendo l’occasione al volo e scrivo quello che è l’articolo numero millecinquecento e rotti del blog.

L’analogia a cui ho pensato è questa. Nel Vangelo, Gesù dice: “Sono venuto a portare la spada, non la colomba”. E aggiunge: “Non sono venuto a unire, ma a dividere”. Lo dice per sottolineare quanto è rivoluzionaria la sua parola e, nello specifico, per indicare che si salverà solo chi crede in lui. Il suo intento è operare una frattura netta tra chi gli crede e chi non gli crede. Questo, però, è anche l’intento del marketing! Mi spiego meglio.

Un brand intelligente non cerca di piacere a tutti. Si focalizza sull’essere la miglior riposta possibile ai bisogni di un piccolo gruppo di persone (o aziende), vale a dire i suoi clienti. Un brand che fa questo ha il coraggio di fregarsene del resto del mercato. Ha il coraggio di rappresentare perfino il peggio in assoluto per chi ha esigenze diverse da quelle del suo target di clienti.

Questo è vero marketing: dividere il marcato in due. Da una parte, le persone (o le aziende) che interessano. Dall’altra, tutto il resto, che non interessa. Un brand che fa questo tipo di scelta strategica comunica con il primo gruppo di persone (o aziende) e ignora il secondo. È cioè focalizzato soltanto sulla clientela in target. Solo su quella.

Al contrario, i brand che si sforzano di essere il meglio per tutti, in realtà non raggiungono la grandezza in niente. Finiscono per essere dei brand nella media. O anche sotto la media. Sono cioè delle marche anonime. Si confondono con il rumore di fondo costituito da tanti brand che non sono né carne né pesce.

Il marketing richiede di essere coraggiosi. In effetti, le aziende sono costrette a fare una precisa scelta di campo. Devono decidere che cosa rappresentare per i clienti, lasciando perdere tutte le altre possibilità: “Mi farò percepire in questo modo e ignorerò tutte le altre percezioni possibili”. Il che significa rivolgersi a un target preciso di clienti e non a tutti quelli possibili.

Fare questa scelta è però premiante. Chi si focalizza su un target specifico viene percepito da quel target come lo specialista nel risolvere i suoi problemi. A quel punto, perché quei clienti dovrebbero rivolgersi a un brand generalista? Hanno a disposizione il brand specializzato nella soluzione dei loro problemi: che senso avrebbe fare una scelta diversa?

Quando parlo di questo argomento, mi piace sempre citare le parole di Michael Porter, che sono tanto precise quanto efficaci: “La strategia è quel che fai per distinguerti dalla concorrenza. Non è una questione di fare meglio ciò che fai, è una questione di farlo in modo diverso dai competitor. Essere strategici nella competizione significa essere diversi dalle altre offerte sul mercato. Questo implica di scegliere in modo chiaro che cosa fare (rinunciando alle altre possibilità), con lo scopo di offrire un valore unico”.

Questa la mia riflessione tra sacro e profano. E tu, come la vedi? La tua azienda è un brand? Se sì, ha scelto che clienti servire e quali ignorare? Ha fatto una precisa scelta di campo? È sul mercato con l’intento di dividere anziché unire?

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marketingQuesto post che spiega perché perché il marketing divide i clienti in due gruppi e si concetra solo sul gruppo in cui c’è la clientela in target è stato scritto da Alessandro Scuratti, content marketing specialist e business blogger.
Da oltre 20 anni mi occupo di comunicazione per le aziende, come business writer e come content marketer. Dal 2011, gestisco questo mio blog, che raccoglie migliaia di visite ogni giorno. Sono anche l’autore di Scrivere per il web 2.0.
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