Che cos’è il rebranding o riposizionamento di un brand? La definizione chiarisce il significato di questa importante – e delicata – attività di marketing strategico: si tratta di una serie di azioni attraverso le quali un brand – azienda, prodotto o servizio – modifica il proprio posizionamento di marca (brand positioning) sul mercato.
In altre parole, il rebranding è il processo che porta un’azienda a modificare la sua immagine percepita agli occhi della clientela in target. In modo più tecnico, si può dire così: è l’attività strategica che permette a una marca di modificare la sua brand identity, e con essa la sua brand image.
Il riposizionamento è un’operazione radicale, perché spesso implica una revisione completa dell’immagine di un brand, compresi il suo nome, il suo marchio, i suoi colori, i suoi visual, i suoi messaggi di marketing operativo e, non di rado, anche la sua offerta, vale a dire i prodotti e i servizi che vende.
Talvolta, si usa distinguere tra rebranding totale – si ha quando si cambia completamente la strategia di posizionamento sul mercato e, di riflesso, si modificano i segni distintivi del brand, la sua comunicazione, la sua politica commerciale ecc. – e rebranding parziale – si ha quando si cambia solo qualche elemento del brand, come per esempio il packaging dei prodotti, mantenendo invariati tutti gli altri elementi, sia strategici che tattici.
Perché si fa un rebranding?
A che cosa serve un riposizionamento sul mercato? E quando bisogna farlo? Lo scopo di questa attività strategica è creare una nuova percezione nella mente dei consumatori – o dei decisori del B2B. Anche quando ci si continua a rivolgere allo stesso target, il tentativo è quello di avere un appeal maggiore. In altre situazioni, si decide invece di cambiare completamente il target di riferimento, smettendo di rivolgersi a un dato pubblico per andare a colpire un altro segmento di consumatori – o di decisori del B2B.
Quando si rende necessario un rebranding? In alcuni casi, si opta per un riposizionamento per aumentare il valore percepito dell’offerta. Più in generale, succede che un’azienda scopra di doversi riposizionare quando i suoi fatturati calano in modo consistente e nulla sembra arrestare quel calo. Un tale evenienza negativa può verificarsi per vari motivi. Forse il posizionamento di marca iniziale non era corretto. Oppure è entrato sul mercato un nuovo concorrente – magari con un’innovazione di prodotto –, che ha catturato l’attenzione e le preferenze del pubblico – pensiamo a come gli smartphone hanno praticamente estromesso dal mercato i cellulari di Nokia o a come le fotocamere e gli stessi smartphone hanno marginalizzato le pellicole fotografiche di Kodak. Insomma: può capitare che un business diventi – più o meno all’improvviso – obsoleto, come è successo ai venditori di cavalli per carrozze quando è arrivata l’automobile.
Talvolta, succede che la nicchia sia diventata satura – un modo efficace per ovviare a questo problema è segmentare o, in casi estremi, procedere per l’appunto a un rebranding. Altre volte, invece, capita perfino che il riposizionamento si renda necessario per una crisi di reputazione del brand.
Da ultimo, il riposizionamento può rendersi utile in caso di fusione o di acquisizione. Che cosa significa? Quando due aziende si fondono oppure quando un’azienda ne acquisisce un’altra, potrebbe essere conveniente fondere le identità delle due società in una terza e unica identità. Questo per riflettere meglio i valori del nuovo soggetto. Ecco allora che il rebranding garantisce la nascita di un nuovo brand, cioè una marca con un proprio nome, un proprio marchio e una propria strategia. È per esempio quello che è successo con il brand Stellantis, nato dalla fusione tra Fiat Chrysler Automobiles e Groupe PSA.
L’attività più difficile nel marketing? Il riposizionamento!
Fare un rebranding è, probabilmente, l’operazione di marketing più difficile di tutte. Come mai? Beh, in primo luogo perché il brand da riposizionare ha già un’identità, con cui è entrato da tempo nella mente del pubblico. È quindi riconosciuto come il portatore di una data specificità. E cambiare tale identità non è mai semplice. Anche se il rebranding è fatto alla perfezione, è infatti complicato cambiare le percezioni che sono associate – magari da tanti anni – a un brand.
D’altro canto, un riposizionamento necessita di parecchie risorse, sia in termini di soldi che di tempo. In effetti, ripensare un brand è un’operazione che coinvolge numerosi professionisti, quindi richiede un budget adeguato. Per di più, è un’operazione che non si compie dalla sera alla mattina. C’è infatti la necessità di una comunicazione incessante, per far entrare questo cambiamento nella testa del target, vecchio o nuovo che sia.
Per tutti questi motivi, il rebranding di un brand è forse l’attività di marketing più complessa e difficile che esista. Anche di più che creare un brand da zero. Basti pensare che perfino Jack Trout e Al Ries, due dei padri del marketing moderno e contemporaneo, divergevano su questo punto: mentre Trout pensava che un riposizionamento fosse sempre possibile, Ries lo escludeva, perché un brand resta associato per la vita a una data percezione.
Tutto questo indica che un riposizionamento, quando è fattibile, va affidato a professionisti esperti. Vale a dire a professionisti che sappiano dove andare a mettere le mani. Perché è alto il rischio di commettere degli errori e, di conseguenza, è alto il pericolo di compromettere l’esito del rebranding.
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Questo articolo che spiega che cos’è un rebranding o riposizionamento è stato scritto da Alessandro Scuratti, consulente di marketing e comunicazione.
Da più di 20 anni aiuto le piccole e medie imprese a vendere di più. Dal 2011, gestisco questo mio blog, che raccoglie migliaia di visite ogni giorno. Sono l’autore del libro Scrivere per il web 2.0, adottato da due università.
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