“Basta che se ne parli” non è una buona strategia di marketing

Basta che se ne parli: non è marketing!Oscar Wilde ha scritto: “Parlarne bene o parlarne male non importa, purché se ne parli”. Ho però più di un dubbio sulla validità di tale affermazione nella vita quotidiana. Non sono cioè convinto che sia un bene eleggere a regola di vita la massima del grande letterato inglese.

Nel marketing, sono ancora più drastico: il “purché se ne parli” è totalmente sbagliato. Sì, lo so che ci sono esperti di marketing che sostengono il contrario, ma è un errore. E pure grossolano. In questo articolo, voglio motivare il perché qualunque tipo di promozione va fatta nel rispetto della brand image.

Partiamo da qui. La strategia del “purché se ne parli” ha l’intento di scatenare controversia, dibattito, discussione. Siccome i consumatori sono continuamente bombardati da stimoli promozionali, tale strategia è un modo molto efficace di prendersi la scena. È quasi prepotente nell’attirare visibilità. Per la serie: “Tiro una bomba a mano, succeda quel che succeda, il pubblico mi darà comunque la sua attenzione. Una volta attirata l’attenzione del pubblico, quest’ultimo si ricorderà del mio brand in futuro. Lo avrò agganciato e comprerà da me”.

Purtroppo, attirare l’attenzione e vendere sono due cose che non sempre vanno a braccetto. Cioè: non è detto che attirare l’attenzione implichi un aumento del fatturato. Per esempio, sono tante le pubblicità divertenti – e premiatissime agli eventi di marketing – di cui però non ci si ricorda il nome del brand promosso. Sarà capitato anche a te di parlare di una pubblicità divertente con qualcuno, senza però riuscire a ricordare quel era il prodotto o il servizio pubblicizzato. Dunque, attirare l’attenzione – soprattutto in modo sensazionalistico – non è detto che sia sempre un assit alle vendite. Il marketing è più complesso di così.

Se vuoi, è la stessa cosa che succede a certi e-commerce: portare tanto traffico su un e-commerce non si traduce, in automatico, in tante vendite. Come mai? Perché occorre far sì che quei visitatori siano spinti a comprare. In altre parole: il traffico serve, ma bisogna anche essere bravi a farlo convertire. Nello specifico, bisogna padroneggiare la CRO (conversion rate optimization). Solo così si potranno avere delle vendite in linea con le aspettative.

Ma torniamo al “purché se ne parli”. Dunque, guadagnare l’attenzione del pubblico è indispensabile, ma la visibilità è davvero utile solo se si traduce in vendite.

In realtà, bisognerebbe anche valutare di quale pubblico si attira l’attenzione. La tua campagna sta arrivando a un pubblico ampio ma generico? Oppure sta arrivando a un pubblico più ristretto, che però coincide con il tuo target di clienti? È ovvio che, se la tua pubblicità genera un’attenzione vasta ma indistinta, lascia il tempo che trova. Infatti, sparare nel mucchio non è marketing. Al contrario, se l’azione promozionale stimola in modo chirurgico il tuo target di clienti, hai fatto centro. In altre parole: piacere a tanti è più che altro una vanity metric. Al contrario, piacere solo ai potenziali clienti è ROI!  🙂

 

Se il “basta che se ne parli” è sbagliato, come si fanno la pubblicità e le PR?

Generare controversia, dibattito, polemica è una strategia di marketing assai efficace. Va però studiata bene e poi condotta nel modo giusto. Altrimenti, per l’appunto, ci si ritrova a far parlare di sé più o meno tutti, senza però produrre risultati di vendita concreti. In altri termini, il “purché se ne parli” dà una fiammata di visibilità, che però scompare presto e, soprattutto, non alza il fatturato.

Ti faccio dunque un paio di esempi di come questa strategia va applicata perché funzioni. Immagina di essere il leader di un neonato partito di centro destra. Come convincere gli elettori a votarti? Beh, potresti per esempio ripetere senza sosta che l’Italia è un Paese che, alle prossime elezioni, rischia di cadere in mano a una sinistra inadeguata a governare. A sinistra s’arrabbierebbero tutti, ma gli elettori del centro destra sarebbero di certo sensibili al tuo messaggio. Pensi che questa strategia sia inapplicabile? Berlusconi ci ha vinto le elezioni del 1994… Invocare una scelta di campo netta, attaccando frontalmente gli avversari, è stato eclatante. Tutti ne hanno discusso. Però, ciò non è stato fatto con la logica del “purché se ne parli”. È stato fatto con l’intento di attirare l’attenzione di un pubblico specifico. In questo caso, si trattava degli elettori moderati e conservatori.

Ecco un secondo esempio di PR scatenate correttamente. Immagina di essere un allenatore di calcio e di voler compattare l’ambiente – tifosi, giocatori e società – sull’obiettivo di vincere il campionato. E immagina di avere una rivale storica, forte almeno quanto te. Che fare? Beh, potresti cominciare a stuzzicare verbalmente la tua avversaria. Di certo, faresti arrabbiare società, giocatori e tifosi avversari. Al tempo stesso, otterresti il risultato di diventare l’idolo dei tuoi, riuscendo a stringere intorno a te il tuo ambiente. In particolare, finiresti tu sotto i riflettori dei media sportivi, togliendo pressione ai tuoi giocatori. Questi ultimi potrebbero così concentrarsi più serenamente sulle partite. Cioè sull’obiettivo di vincere. Pensi che questa strategia sia inapplicabile? Beh, è quello che ha fatto José Mourinho quando allenava l’Inter. Ha spesso polemizzato con la Juventus e con quello che chiamava “il sistema”. In tal modo, è riuscito a proteggere la squadra, che ha potuto focalizzarsi sugli obiettivi sportivi, poi effettivamente raggiunti. Anche qui: Mourinho non ha applicato la logica del “purché se ne parli”. Ha invece spaccato il pubblico seguendo una strategia precisa: c’è chi l’ha adorato – gli interisti – e chi l’ha odiato – gli juventini. Andare in diretta contrapposizione con l’avversario è stato eclatante, tutti ne hanno parlato. Però è stato funzionale.

Vuoi invece un esempio di PR sbagliate? In generale, è fallimentare qualunque attività promozionale che non è coerente con il posizionamento di marca del brand. Perché tradisce l’identità del brand e perché rischia di colpire un pubblico che non è quello delle buyer personas del brand. Nello specifico, se parliamo di PR che vogliono creare controversia, una campagna efficace dovrebbe generare simpatia nei consumatori che sono in target e antipatia negli “avversari” del brand. Dunque, sono sbagliate tutte le campagne che nascono per generare contrasto, ma che non fanno arrabbiare gli avversari e non fanno esultare i clienti – potenziali o già acquisiti.

E poi c’è il caso limite. Quello delle campagne che sono così sbagliate che, senza volerlo, generano un enorme e indifferenziato coinvolgimento negativo. Per la serie: la promozione è così maldestra che fa imbufalire un gran numero di persone, indistintamente. Le agenzie che hanno creato simili campagne, per giustificarsi, invocano per l’appunto il “purché se ne parli”. Il ragionamento che fanno è questo: “Tanti parlano male della campagna, è vero, ma in realtà è stata un successo, proprio perché è sulla bocca di tutti”. Sbagliato, sbagliatissimo. Essere attaccati da tutti – quindi non solo dagli avversari – non è mai un successo. È una cosiddetta shitstorm. È cioè un vero e proprio danno d’immagine per il brand. Per dirla in parole povere: se tutti parlano male di te, è vero che adesso tutti ti conoscono. Però questo è tutt’altro che figo. La verità è che hai combinato un disastro, perché adesso tutti pensano male di te. Se la situazione è pesante, dovrai perfino ideare una campagna per tentare di “ripulire” il nome del brand…

Insomma: quanta gente parla di te è importante, ma ancor più importante è come ne parla.

Se sei un imprenditore e vuoi fare PR generando controversia, sta’ attento a quel che fai. Soprattutto, sta’ attento all’agenzia a cui affidi questa attività. È una faccenda troppo delicata per darla a qualcuno che ragiona in termini di “purché se ne parli”. Fa’ attenzione: devono arrabbiarsi solo i “nemici”, cioè quelli che stanno agli antipodi dei tuoi clienti. Cioè quelli che, comunque, non avrebbero mai comprato da te. Cioè quelli che avrebbero comunque parlato male di te. Al contempo, i tuoi clienti devono schierarsi fin da subito dalla tua parte. Se invece fai arrabbiare un gran numero di persone, indistintamente, è un guaio. Perché questo rischia di rovinare il tuo brand. E se comprometti il brand, che cosa ti rimarrà? Il marketing è davvero un’altra cosa.

 

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come generare controversia con il marketing?Questo post che spiega perché il “basta che se ne parli” non è una strategia di marketing intelligente è stato scritto da Alessandro Scuratti, consulente di marketing.
Da oltre 20 anni, mi occupo di branding e comunicazione per le aziende. Dal 2011, gestisco questo mio blog, che raccoglie migliaia di visite ogni giorno. Sono anche l’autore del libro Scrivere per il web 2.0.
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