Che cos’è l’hope marketing (detto anche marketing della speranza)? La definizione ne inquadra perfettamente il significato: si tratta di quel particolare comportamento da parte di un’azienda o di un imprenditore che – per quanto paradossale sia – consiste nel non fare nulla per promuovere il proprio business.
Proprio così: nessuna azione pubblicitaria. Nessuna promozione. Nessun tipo di comunicazione al mercato. L’unica cosa che si mette in campo – da qui il nome dell’espressione – è la speranza che succeda qualcosa. Per esempio, il negoziante che la mattina si limita ad alzare la serranda del proprio negozio, senza investire un centesimo in promozione, sta praticando hope marketing. Lo stesso fa l’azienda che è convinta che i propri prodotti o servizi si vendano da soli, perché sono talmente validi che innescheranno spontaneamente un massiccio passaparola.
Hope marketing non significa solo essere inerti. Il termine assume anche un’altra accezione. Infatti, fanno marketing della speranza anche quegli imprenditori e quelle aziende che copiano il leader di mercato o un concorrente particolarmente attivo, nella convinzione che le stesse azioni potranno funzionare anche per il loro business.
Se l’inerzia non porta ad alcunché, copiare gli altri non è di certo meglio. In effetti, se il leader di mercato fa determinate scelte, evidentemente segue una ben precisa strategia di marketing. Vale a dire una strategia studiata e ritagliata sul proprio posizionamento dio marca e sui propri obiettivi di business. L’azienda che copia è sicura di avere lo stesso brand positioning? È sicura di avere esattamente gli stessi obiettivi di business? (In realtà, per essere precisi, bisognerebbe dire che quella che si copia è sempre la tattica e mai la strategia, perché è la prima a essere visibile e non la seconda, che invece è segreta. Ma nei limiti della nostra trattazione ci accontentiamo di assimilare i due concetti).
Insomma: non è possibile che una strategia di marketing studiata per una data impresa possa calzare perfettamente per un’altra. Questo succede perché, banalmente, si tratta di due realtà imprenditoriali diverse, con storia, valori, persone, percezioni, offerte differenti. Quindi, copiare un concorrente nella speranza di ottenere gli stessi risultati porta ben pochi benefici. Anzi: il rischio è quello di fare il suo gioco, perché copiare i messaggi di marketing di un altro serve solo a ribadire il suo posizionamento di marca. Se scimmiotti un altro, confermi lui, non affermi te.
L’hope marketing non funziona, quindi che fare?
Dato che il marketing della speranza non è marketing, quindi non produce alcun risultato – quando non è perfino controproducente –, che cosa bisogna fare?
La soluzione è obbligata: occorre in primo luogo smettere di imitare le azioni tattiche degli altri, cioè le loro pubblicità e le loro comunicazioni. In secondo luogo, bisogna fare marketing in proprio. Bisogna quindi dotarsi di un’identità, cioè di un proprio posizionamento di marca. Una volta fatto questo, sarà subito chiaro che cosa serve comunicare al mercato e come comunicarlo.
L’hope marketing è una tecnica passiva, che non porta mai risultati consistenti, a meno di essere molto – ma molto – fortunati. In genere, dà per l’appunto dei benefici di poco conto, per le ragioni sopra spiegate. Al contrario, prendere in mano la situazione e mettere in pista un proprio marketing strategico e operativo porta dei vantaggi di tutt’altra categoria. È in effetti l’unico modo per poter aspirare a diventare un brand e a realizzare profitti adeguati.
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Questa è la definizione di che cos’è l’hope marketing ed è stata scritta da Alessandro Scuratti, consulente di marketing e comunicazione.
Da più di 20 anni aiuto le piccole e medie imprese a vendere di più. Dal 2011, gestisco questo mio blog, che raccoglie migliaia di visite ogni giorno. Sono l’autore del libro Scrivere per il web 2.0, adottato da due università.
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